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Lei è l’ape regina, fondamento di ogni famiglia, unica ape feconda, capace di deporre quantità impressionanti di uova per garantire la sopravvivenza della sua stirpe e, all’occorrenza, spostare le colonie verso una nuova casa.
Lei è l’ape regina, fondamento di ogni famiglia, unica ape feconda, capace di deporre quantità impressionanti di uova per garantire la sopravvivenza della sua stirpe e, all’occorrenza, spostare le colonie verso una nuova casa.
La regina è l’ape più grande, la più longeva è l’unica feconda, capace cioè di generare una nuova colonia, o «famiglia». Queste differenze sono il frutto di un’alimentazione speciale. Dopo la deposizione dell’uovo, le operarie svezzano le larve reali per circa 15 giorni con la pappa reale, che sarà l’unico alimento della regina per tutta la vita. Dopo questo periodo la regina può uscire dalla sua cella, anch’essa speciale: non è infatti posta in orizzontale, ma in verticale e ha le fattezze di un’arachide.
La regina è l’ape più grande, la più longeva è l’unica feconda, capace cioè di generare una nuova colonia, o «famiglia». Queste differenze sono il frutto di un’alimentazione speciale. Dopo la deposizione dell’uovo, le operarie svezzano le larve reali per circa 15 giorni con la pappa reale, che sarà l’unico alimento della regina per tutta la vita. Dopo questo periodo la regina può uscire dalla sua cella, anch’essa speciale: non è infatti posta in orizzontale, ma in verticale e ha le fattezze di un’arachide.
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Una colonia può allevare fino a 30 «principesse», dette «regine vergini». Quando le api percepiscono che la reggente non è più in grado di svolgere il suo ruolo, devono assicurare la la sopravvivenza della colonia. Costruiscono allora le celle reali per far nascere una nuove regine. Quando le «regine vergini» si schiudono, ciascuna compete per il proprio regno fino a che ne rimane in vita una sola. A volte accade che una vergine, nata prima delle altre, uccida le “sorelle” mentre sono ancora nella loro cella. Se più vergini vengono alla luce contemporaneamente, tutte meno una abbandonano l’alveare seguite da un gruppo di “fedelissime” (sciamatura). Accade questo perché nell’alveare può rimanere una sola regina.
Una colonia può allevare fino a 30 «principesse», dette «regine vergini». Quando le api percepiscono che la reggente non è più in grado di svolgere il suo ruolo, devono assicurare la la sopravvivenza della colonia. Costruiscono allora le celle reali per far nascere una nuove regine. Quando le «regine vergini» si schiudono, ciascuna compete per il proprio regno fino a che ne rimane in vita una sola. A volte accade che una vergine, nata prima delle altre, uccida le “sorelle” mentre sono ancora nella loro cella. Se più vergini vengono alla luce contemporaneamente, tutte meno una abbandonano l’alveare seguite da un gruppo di “fedelissime” (sciamatura). Accade questo perché nell’alveare può rimanere una sola regina.
Nel momento in cui vengono alla luce (o addirittura mentre sono ancora nella loro cella reale), le «regine vergini» cominciano a emettere un particolare stridìo, simile al suono di una trombetta. È il «canto della regina» e si pensa abbia diversi scopi.
Nel momento in cui vengono alla luce (o addirittura mentre sono ancora nella loro cella reale), le «regine vergini» cominciano a emettere un particolare stridìo, simile al suono di una trombetta. È il «canto della regina» e si pensa abbia diversi scopi.
Per quanto l’ape regina sia in grado di influenzare il comportamento delle sue operaie grazie alla produzione di feromoni, l’alveare è un super-organismo, ovvero una forma di collettività in cui le decisioni sono prese attraverso una specie di maggioranza “senziente”. Quando questa maggioranza percepisce la fine di una regina, fa di tutto per agevolare un cambio al vertice deponendo uova nelle celle reali. Caso limite è la sciamatura in cui le operaie agiscono “democraticamente”: si crede infatti che singolarmente o a piccoli gruppi possano decidere di seguire la vecchia regina pronta al distacco, o restare con la nuova che garantirà la sopravvivenza della famiglia.
Per quanto l’ape regina sia in grado di influenzare il comportamento delle sue operaie grazie alla produzione di feromoni, l’alveare è un super-organismo, ovvero una forma di collettività in cui le decisioni sono prese attraverso una specie di maggioranza “senziente”. Quando questa maggioranza percepisce la fine di una regina, fa di tutto per agevolare un cambio al vertice deponendo uova nelle celle reali. Caso limite è la sciamatura in cui le operaie agiscono “democraticamente”: si crede infatti che singolarmente o a piccoli gruppi possano decidere di seguire la vecchia regina pronta al distacco, o restare con la nuova che garantirà la sopravvivenza della famiglia.
Al contrario di quello delle operaie, dentellato e irregolare, il pungiglione della regina è liscio. Il suo scopo è duplice: quando è gravida, la regina lo utilizza per deporre le uova, come fosse una pipetta; in caso di combattimento, invece, il pungiglione diventa un affilato stiletto, pronto a trafiggere le rivali.
Al contrario di quello delle operaie, dentellato e irregolare, il pungiglione della regina è liscio. Il suo scopo è duplice: quando è gravida, la regina lo utilizza per deporre le uova, come fosse una pipetta; in caso di combattimento, invece, il pungiglione diventa un affilato stiletto, pronto a trafiggere le rivali.
Una regina può deporre fino a 2 mila uova al giorno, 250 mila l’anno per un massimo di 5 anni di vita. Per poterle fecondare accumula il seme dei fuchi all’interno del suo addome, rilasciandolo gradualmente. L’accoppiamento non può certo essere quotidiano, ma avviene una sola volta, nel periodo del volo nuziale. La regina vergine si solleva in aria seguita dalla «cometa di fuchi», un nugolo composto da un centinaio di maschi. L’accoppiamento multiplo fornirà alla regina il materiale genetico per gli anni a venire fino a che, esauritosi, darà vita a uova non fecondate, che produrranno solo api maschio. È la cosiddetta «regina fucaiola» che, se individuata dalle operaie, verrà prontamente sostituita.
Una regina può deporre fino a 2 mila uova al giorno, 250 mila l’anno per un massimo di 5 anni di vita. Per poterle fecondare accumula il seme dei fuchi all’interno del suo addome, rilasciandolo gradualmente. L’accoppiamento non può certo essere quotidiano, ma avviene una sola volta, nel periodo del volo nuziale. La regina vergine si solleva in aria seguita dalla «cometa di fuchi», un nugolo composto da un centinaio di maschi. L’accoppiamento multiplo fornirà alla regina il materiale genetico per gli anni a venire fino a che, esauritosi, darà vita a uova non fecondate, che produrranno solo api maschio. È la cosiddetta «regina fucaiola» che, se individuata dalle operaie, verrà prontamente sostituita.
Il più straordinario documentario sulle api mai prodotto (almeno finora) è il capolavoro di Markus Imhoof, More Than Honey. Il film, uscito nel 2013, ha richiesto 5 anni di riprese e migliaia di km percorsi dal regista, che ha condotto la sua ricerca sui 4 continenti.
Il più straordinario documentario sulle api mai prodotto (almeno finora) è il capolavoro di Markus Imhoof, More Than Honey. Il film, uscito nel 2013, ha richiesto 5 anni di riprese e migliaia di km percorsi dal regista, che ha condotto la sua ricerca sui 4 continenti.
Il risultato è spettacolare: per immagini, intensità del racconto, incredibili macro sul mondo segreto delle api, storie, personaggi. More then Honeyracconta il rapporto secolare tra l’uomo e le api, la loro funzione cruciale per la natura e la più che mai attuale sindrome da spopolamento (un fenomeno ancora poco conosciuto per il quale le colonie di api periscono bruscamente) che si è diffusa in modo preoccupante negli ultimi anni. Il documentario di Imhoof, attraverso testimonianze dirette e specializzate, richiama la nostra attenzione sull’importanza delle api, dimostrando che Einstein aveva forse esagerato con la sua celebre sentenza sulle api («quando le api scompariranno dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita»), eppure non era andato così lontano visto che: «senza api, un terzo di tutto ciò che mangiamo probabilmente non ci sarebbe».
Il risultato è spettacolare: per immagini, intensità del racconto, incredibili macro sul mondo segreto delle api, storie, personaggi. More then Honeyracconta il rapporto secolare tra l’uomo e le api, la loro funzione cruciale per la natura e la più che mai attuale sindrome da spopolamento (un fenomeno ancora poco conosciuto per il quale le colonie di api periscono bruscamente) che si è diffusa in modo preoccupante negli ultimi anni. Il documentario di Imhoof, attraverso testimonianze dirette e specializzate, richiama la nostra attenzione sull’importanza delle api, dimostrando che Einstein aveva forse esagerato con la sua celebre sentenza sulle api («quando le api scompariranno dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita»), eppure non era andato così lontano visto che: «senza api, un terzo di tutto ciò che mangiamo probabilmente non ci sarebbe».
Sotto la sapiente regia di Alice Rohrwacher, questa favola contemporanea è un film che tutti gli amanti delle api dovrebbero guardare con attenzione. La regista di Corpo celeste e del recente Lazzaro Felice racconta la delicata e semplice vicenda di una famiglia di apicoltori che hanno scelto produrre miele tra difficoltà economiche e famigliari, guidati da una sincera dedizione alla natura e al paesaggio rurale.
Sotto la sapiente regia di Alice Rohrwacher, questa favola contemporanea è un film che tutti gli amanti delle api dovrebbero guardare con attenzione. La regista di Corpo celeste e del recente Lazzaro Felice racconta la delicata e semplice vicenda di una famiglia di apicoltori che hanno scelto produrre miele tra difficoltà economiche e famigliari, guidati da una sincera dedizione alla natura e al paesaggio rurale.
L’arrivo della televisione e della retorica del «tipico» e dell’«autentico» metterà in crisi i protagonisti e farà esplodere non solo le tensioni già presenti all’interno del nucleo familiare, ma le stesse che intercorrono tra i concetti di campagna e città, di rurale e urbano, di innovazione e tradizione.
L’arrivo della televisione e della retorica del «tipico» e dell’«autentico» metterà in crisi i protagonisti e farà esplodere non solo le tensioni già presenti all’interno del nucleo familiare, ma le stesse che intercorrono tra i concetti di campagna e città, di rurale e urbano, di innovazione e tradizione.
«L’apicoltura è un’attività che è tutt’uno con il vivere», ha detto la regista del suo film. «Mi interessava mostrare come la vita e il lavoro in campagna siano profondamente collegati. L’ho voluto raccontare perché lo spettatore si ponga delle domande sul come si vive in altre parti della società, separando questi due aspetti: il mestiere e il tempo libero».
«L’apicoltura è un’attività che è tutt’uno con il vivere», ha detto la regista del suo film. «Mi interessava mostrare come la vita e il lavoro in campagna siano profondamente collegati. L’ho voluto raccontare perché lo spettatore si ponga delle domande sul come si vive in altre parti della società, separando questi due aspetti: il mestiere e il tempo libero».
«L’umanità può imparare dalle api», ha detto Maja Lunde, autrice di Storia delle api, testo definito come il più completo – e interessante – libro mai scritto sui più laboriosi insetti del mondo. «Mentre lavoriamo per una vita migliore per noi stessi e per i nostri figli, le api lavorano per l’alveare, cioè per tutti», continua l’autrice, «il pianeta è il nostro alveare, ogni cosa è collegata all’altra».
«L’umanità può imparare dalle api», ha detto Maja Lunde, autrice di Storia delle api, testo definito come il più completo – e interessante – libro mai scritto sui più laboriosi insetti del mondo. «Mentre lavoriamo per una vita migliore per noi stessi e per i nostri figli, le api lavorano per l’alveare, cioè per tutti», continua l’autrice, «il pianeta è il nostro alveare, ogni cosa è collegata all’altra».
Conosciuta per i suoi libri rivolti ai ragazzi, La storia delle api è il suo primo libro per adulti della Lunde. E che libro! Un esordio poderoso, epico, che ha suscitato un vero e proprio “vespaio” alla sua uscita, nel 2015. Non si tratta infatti di una narrazione di armonie bucoliche, piuttosto la visione ispirata e dolente di un mondo attraversato da forme di vita che si intrecciano le une alle altre. E che, attraverso le api, interpellano la natura umana e il suo rapporto con il creato.
Conosciuta per i suoi libri rivolti ai ragazzi, La storia delle api è il suo primo libro per adulti della Lunde. E che libro! Un esordio poderoso, epico, che ha suscitato un vero e proprio “vespaio” alla sua uscita, nel 2015. Non si tratta infatti di una narrazione di armonie bucoliche, piuttosto la visione ispirata e dolente di un mondo attraversato da forme di vita che si intrecciano le une alle altre. E che, attraverso le api, interpellano la natura umana e il suo rapporto con il creato.
Il libro non è un trattato, ma un vero e proprio romanzo, dalla trama accattivante, capace di mescolare le storie di tre protagonisti su di un arco temporale di 300 anni, tutti connessi attraverso il mondo delle api e della loro – possibile – scomparsa. La lettura procede spedita tra le vite di William, biologo inglese di metà Ottocento; George, apicoltore contemporaneo che lotta contro la moria delle api; e Tao, ragazzo cinese del 2098, la cui attività principale è l’impollinazione manuale, dal momento che le api hanno cessato di esistere.
Il libro non è un trattato, ma un vero e proprio romanzo, dalla trama accattivante, capace di mescolare le storie di tre protagonisti su di un arco temporale di 300 anni, tutti connessi attraverso il mondo delle api e della loro – possibile – scomparsa. La lettura procede spedita tra le vite di William, biologo inglese di metà Ottocento; George, apicoltore contemporaneo che lotta contro la moria delle api; e Tao, ragazzo cinese del 2098, la cui attività principale è l’impollinazione manuale, dal momento che le api hanno cessato di esistere.
Tra le cooperazioni “socio-economiche” che si sono spontaneamente formate tra differenti specie animali, una delle più longeve è sicuramente quella instaurata tra uomini e api: la prima immagine iconografica che ne testimonia l’alleanza, cioè la raffigurazione di un alveare e di un cacciatore di miele – venne ritrovata nel 1921 sulla parete di Cueva della Araña – una grotta spagnola sita nella provincia di Valencia – e risale a circa 9000 anni fa. L’apicoltura vera e propria cominciò poco dopo, quando a seguito della rivoluzione del Neolitico l’essere umano passò dal nomadismo alla sedentarietà ed iniziò ad allevare le api dentro dei contenitori.
Tra le cooperazioni “socio-economiche” che si sono spontaneamente formate tra differenti specie animali, una delle più longeve è sicuramente quella instaurata tra uomini e api: la prima immagine iconografica che ne testimonia l’alleanza, cioè la raffigurazione di un alveare e di un cacciatore di miele – venne ritrovata nel 1921 sulla parete di Cueva della Araña – una grotta spagnola sita nella provincia di Valencia – e risale a circa 9000 anni fa. L’apicoltura vera e propria cominciò poco dopo, quando a seguito della rivoluzione del Neolitico l’essere umano passò dal nomadismo alla sedentarietà ed iniziò ad allevare le api dentro dei contenitori.
«Se l’ape scomparisse dalla faccia della Terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita!»: questo celebre monito, attribuito nientedimeno che ad Albert Einstein, comparve per la prima volta in un volantino che l’Unione Nazionale Apicoltori Francesi distribuì a Bruxelles durante una protesta, avvenuta nel 1994, contro la concorrenza – giudicata sleale – che il miele d’importazione faceva a quello transalpino. Tuttavia, non esistono fonti che confermino la paternità dell’aforisma al celebre scienziato: alcuni sostengono che la frase venne coniata da un entomologo americano che tuttavia la presentò come frutto dell’ingegno dello scopritore della relatività per darle più celebrità, altri invece affermano che fu suggerita dall’UNAF. Chiunque sia l’autore, il ruolo delle api nella salvaguardia della biodiversità è acclarato, l’impollinazione è uno dei fattori più importanti per lo sviluppo delle piante e sebbene non solo le api contribuiscano a questa funzione, di sicuro svolgono un ruolo fondamentale.
«Se l’ape scomparisse dalla faccia della Terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita!»: questo celebre monito, attribuito nientedimeno che ad Albert Einstein, comparve per la prima volta in un volantino che l’Unione Nazionale Apicoltori Francesi distribuì a Bruxelles durante una protesta, avvenuta nel 1994, contro la concorrenza – giudicata sleale – che il miele d’importazione faceva a quello transalpino. Tuttavia, non esistono fonti che confermino la paternità dell’aforisma al celebre scienziato: alcuni sostengono che la frase venne coniata da un entomologo americano che tuttavia la presentò come frutto dell’ingegno dello scopritore della relatività per darle più celebrità, altri invece affermano che fu suggerita dall’UNAF. Chiunque sia l’autore, il ruolo delle api nella salvaguardia della biodiversità è acclarato, l’impollinazione è uno dei fattori più importanti per lo sviluppo delle piante e sebbene non solo le api contribuiscano a questa funzione, di sicuro svolgono un ruolo fondamentale.
A proposito della sinergia tra esseri umani e api, è interessante notare come quest’ultime abbiano insegnato all’uomo la tecnica della mummificazione. Quando un animale che le api percepiscono come di grossa taglia (ad esempio lucertole, coleotteri e topi) invade l’alveare, esso viene ucciso a colpi di pungiglione: le api però non sono in grado di trasportarne la carcassa, per loro troppo pesante, fuori dal loro habitat e per evitare i possibili pericoli causati dalla decomposizione lo ricoprono di propoli; essendo un potente antibiotico, tale sostanza preserva l’ospite indesiderato trasformandolo in una mummia. Intorno al 4000 a.C. gli antichi Egizi si accorsero di questo fenomeno e ne fecero uso in campo medico: i sacerdoti lo usarono per mummificare le spoglie dei faraoni (la propoli infatti viene rilevata in tutte le mummie dell’antico Egitto, compresa quella di Tutankhamon che è giunta ai giorni nostri praticamente intatta), mentre i medici la impiegarono per trattare le infezioni della pelle, dell’apparato respiratorio e come cicatrizzante e disinfettante delle ferite.
A proposito della sinergia tra esseri umani e api, è interessante notare come quest’ultime abbiano insegnato all’uomo la tecnica della mummificazione. Quando un animale che le api percepiscono come di grossa taglia (ad esempio lucertole, coleotteri e topi) invade l’alveare, esso viene ucciso a colpi di pungiglione: le api però non sono in grado di trasportarne la carcassa, per loro troppo pesante, fuori dal loro habitat e per evitare i possibili pericoli causati dalla decomposizione lo ricoprono di propoli; essendo un potente antibiotico, tale sostanza preserva l’ospite indesiderato trasformandolo in una mummia. Intorno al 4000 a.C. gli antichi Egizi si accorsero di questo fenomeno e ne fecero uso in campo medico: i sacerdoti lo usarono per mummificare le spoglie dei faraoni (la propoli infatti viene rilevata in tutte le mummie dell’antico Egitto, compresa quella di Tutankhamon che è giunta ai giorni nostri praticamente intatta), mentre i medici la impiegarono per trattare le infezioni della pelle, dell’apparato respiratorio e come cicatrizzante e disinfettante delle ferite.
L’arrivo dell’inverno, con i suoi freddi e il progressivo accorciamento delle ore di luce, viene percepito nitidamente anche dalle api, che in questa stagione entrano in una fase di riposo, quasi un letargo, che lo porta anche a raggrupparsi all’interno del nido, nella zona più riparata e calda e in diretta corrispondenza delle provviste – miele e polline – per formare il cosiddetto “glomere”; questa azione dura fino a quando la temperatura interna raggiunge i 20-22°C. Non tutti sanno però che le api che nascono in inverno, destinate a superare tale periodo rigido per far sopravvivere la famiglia, sono molto più longeve delle api che vengono al mondo in estate: mentre per le secondo la speranza di vita si aggira intorno alle tre settimane, le prime possono arrivare anche a raggiungere i tre mesi di esistenza. Ciò dipende da alcune differenze fisiologiche che maturano inevitabilmente quando la stagione calda volge al termine: fin dalla nascita, le api “invernali” vengono allevate con una quantità di polline superiore a quella prevista per le loro sorelle che hanno avuto i natali nel periodo primaverile o estivo. In conseguenza di ciò, avvicinandosi all’inverno, la maggior parte delle operaie vede svilupparsi le ghiandole ipofaringee e altri “corpi adiposi” che contengono, oltre al grasso, anche proteine: tali sostanze andranno a costituire delle vere riserve nutritive e si riveleranno decisive nell’assicurare alle api una maggiore longevità. Infine, tramite il meccanismo della trofallassi le api riescono, attraverso le loro linguette dette ligule, a scambiarsi il miele che servirà loro come carburante per far vibrare i muscoli pettorali (un procedimento analogo a quello utilizzato dalle colonie di pinguini, che devono sopravvivere anche a 50° sotto zero): questo è uno dei più brillanti esempi esistenti in natura di come un essere vivente, seppur in condizioni assolutamente proibitive, possa resistere tramite una proficua collaborazione con i suoi simili e l’intero ecosistema.
L’arrivo dell’inverno, con i suoi freddi e il progressivo accorciamento delle ore di luce, viene percepito nitidamente anche dalle api, che in questa stagione entrano in una fase di riposo, quasi un letargo, che lo porta anche a raggrupparsi all’interno del nido, nella zona più riparata e calda e in diretta corrispondenza delle provviste – miele e polline – per formare il cosiddetto “glomere”; questa azione dura fino a quando la temperatura interna raggiunge i 20-22°C. Non tutti sanno però che le api che nascono in inverno, destinate a superare tale periodo rigido per far sopravvivere la famiglia, sono molto più longeve delle api che vengono al mondo in estate: mentre per le secondo la speranza di vita si aggira intorno alle tre settimane, le prime possono arrivare anche a raggiungere i tre mesi di esistenza. Ciò dipende da alcune differenze fisiologiche che maturano inevitabilmente quando la stagione calda volge al termine: fin dalla nascita, le api “invernali” vengono allevate con una quantità di polline superiore a quella prevista per le loro sorelle che hanno avuto i natali nel periodo primaverile o estivo. In conseguenza di ciò, avvicinandosi all’inverno, la maggior parte delle operaie vede svilupparsi le ghiandole ipofaringee e altri “corpi adiposi” che contengono, oltre al grasso, anche proteine: tali sostanze andranno a costituire delle vere riserve nutritive e si riveleranno decisive nell’assicurare alle api una maggiore longevità. Infine, tramite il meccanismo della trofallassi le api riescono, attraverso le loro linguette dette ligule, a scambiarsi il miele che servirà loro come carburante per far vibrare i muscoli pettorali (un procedimento analogo a quello utilizzato dalle colonie di pinguini, che devono sopravvivere anche a 50° sotto zero): questo è uno dei più brillanti esempi esistenti in natura di come un essere vivente, seppur in condizioni assolutamente proibitive, possa resistere tramite una proficua collaborazione con i suoi simili e l’intero ecosistema.
Se di miele e mieli abbiano parlato a lungo in questo blog, è bene fare alcune precisazioni sui tipi di formaggio e sulla loro classificazione. Essenzialmente, il formaggio si distingue e modifica il proprio gusto in base a tre fondamentali caratteristiche:
Se di miele e mieli abbiano parlato a lungo in questo blog, è bene fare alcune precisazioni sui tipi di formaggio e sulla loro classificazione. Essenzialmente, il formaggio si distingue e modifica il proprio gusto in base a tre fondamentali caratteristiche:
L’abbinamento miele e il formaggio si esplicita nella forma di due principali incontri: la contrapposizione o la concordanza. Per contrapposizione si intende la volontà di proporre un abbinamento equilibrante, volto cioè a moderare e limitare certe caratteristiche dei formaggi presi in esame. Invece la concordanza è l’abbinamento che tende a sottolineare ed esaltare le somiglianze. Per contrapposizione avremo: formaggi grassi “contro” mieli dalle note acidule; formaggi sapidi “contro” mieli dolci o amari. Per concordanza avremo formaggi aromatici con mieli aromatici, formaggi acidi con mieli aciduli (o dolci con dolci); formaggi persistenti e strutturati con mieli di forte intensità gusto-olfattiva. Non solo: si possono abbinare formaggi e miele in base alla consistenza come ad esempio, una densa melata di bosco a un gorgonzola morbido e stagionato, prolungando il senso di morbidezza in bocca.
L’abbinamento miele e il formaggio si esplicita nella forma di due principali incontri: la contrapposizione o la concordanza. Per contrapposizione si intende la volontà di proporre un abbinamento equilibrante, volto cioè a moderare e limitare certe caratteristiche dei formaggi presi in esame. Invece la concordanza è l’abbinamento che tende a sottolineare ed esaltare le somiglianze. Per contrapposizione avremo: formaggi grassi “contro” mieli dalle note acidule; formaggi sapidi “contro” mieli dolci o amari. Per concordanza avremo formaggi aromatici con mieli aromatici, formaggi acidi con mieli aciduli (o dolci con dolci); formaggi persistenti e strutturati con mieli di forte intensità gusto-olfattiva. Non solo: si possono abbinare formaggi e miele in base alla consistenza come ad esempio, una densa melata di bosco a un gorgonzola morbido e stagionato, prolungando il senso di morbidezza in bocca.
Un interessante connubio è infine quello territoriale, costruito cioè a partire da mieli e formaggi appartenenti ad un luogo specifico. Si potranno così apprezzare il miele di rododendro (albero che cresce in quota) e il miele di montagna della Valle Maira con i formaggi d’alpeggio piemontesi. Oppure i mieli d’agrumi con i formaggi della Trinacria (Ragusano e Caciocavallo, ad esempio). Un abbinamento classico e caratteristico è quello “sardo”, con miele di corbezzolo e Pecorino sardo.
Un interessante connubio è infine quello territoriale, costruito cioè a partire da mieli e formaggi appartenenti ad un luogo specifico. Si potranno così apprezzare il miele di rododendro (albero che cresce in quota) e il miele di montagna della Valle Maira con i formaggi d’alpeggio piemontesi. Oppure i mieli d’agrumi con i formaggi della Trinacria (Ragusano e Caciocavallo, ad esempio). Un abbinamento classico e caratteristico è quello “sardo”, con miele di corbezzolo e Pecorino sardo.
La letteratura scientifica parla dell’abbinamento miele formaggio attraverso la metafora del «matrimonio imperfetto», perché il miele, a differenza di bevande come il vino e la birra, non è in grado di esprimere in un unico prodotto elementi di concordanza e contrasto. Questo, lungi da essere un limite, apre alla fantasia. Non essendoci un’unione per eccellenza, saranno il gusto e le nostre sensazioni a decidere lo “sposalizio” che, se si rivela guidato dall’amore, sarà davvero un fecondo e duraturo «matrimonio all’italiana».
La letteratura scientifica parla dell’abbinamento miele formaggio attraverso la metafora del «matrimonio imperfetto», perché il miele, a differenza di bevande come il vino e la birra, non è in grado di esprimere in un unico prodotto elementi di concordanza e contrasto. Questo, lungi da essere un limite, apre alla fantasia. Non essendoci un’unione per eccellenza, saranno il gusto e le nostre sensazioni a decidere lo “sposalizio” che, se si rivela guidato dall’amore, sarà davvero un fecondo e duraturo «matrimonio all’italiana».
È giunta l’ora di dare i nostri personali suggerimenti, tenendo a mente quanto detto finora e la regola aurea di qualsiasi incontro: il vero amore nasce dall’equilibrio, dalla capacità di esaltare le reciproche caratteristiche, senza obnubilare quelle dell’altro.
È giunta l’ora di dare i nostri personali suggerimenti, tenendo a mente quanto detto finora e la regola aurea di qualsiasi incontro: il vero amore nasce dall’equilibrio, dalla capacità di esaltare le reciproche caratteristiche, senza obnubilare quelle dell’altro.